Dalle iniziative di screening alle cure disponibili: tutto quello che c’è da sapere sulla talassemia

“Progetti di Vita”. È così che si chiamano le attività messe a punto dall’Associazione Piera Cutino Onlus, che dal 1998 è al fianco dei pazienti talassemici al fine di migliorare sensibilmente la qualità della loro vita. Uno degli obiettivi maggiormente perseguiti, infatti, è proprio quello di sensibilizzare la popolazione su modalità di prevenzione, opportunità presenti per contrastare la patologia e terapie in via di sperimentazione. Per questo motivo torna l’appuntamento con il Thalassemia day, la manifestazione annuale che, per tutto il mese di maggio, sarà accompagnata da alcune preziose iniziative.

Thalassemia day: ecco le iniziative del mese di maggio

«Per questa occasione, ad esempio, l’Associazione Piera Cutino ha nuovamente confermato la collaborazione con FederFarma Sicilia, grazie alla quale, fino alla fine del mese, distribuiremo in 1500 farmacie siciliane una locandina informativa sulla talassemia. Queste brochure, sponsorizzate dalla nostra storica testimonial Stefania Petyx, non solo raccontano qualcosa in più di questa patologia genetica ma riportano anche l’elenco dei centri nei quali è possibile fare il test gratuito del portatore sano» spiega Sergio Mangano, Direttore dell’Ufficio Marketing, Comunicazione e Fund Raising dell’Associazione.

Non solo. Come era prevedibile, i promotori di questa campagna non possono (e non vogliono) ignorare l’emergenza Coronavirus che, purtroppo, ha colpito direttamente o trasversalmente tanti malati rari. «Per questo motivo abbiamo chiesto ad alcuni Centri di Talassemia sparsi in Italia e all’estero di fare un po’ il punto su quanti pazienti talassemici si fossero ammalati di Covid-19, sugli approcci terapeutici messi in campo, sulle relazioni esistenti tra questa patologia ematologica e la pandemia in atto. Abbiamo raccolto numerosi contributi e, con questi, realizzato dei video che saranno caricati sul nostro sito e sulla pagina Facebook. Speriamo che queste iniziative possano essere utili alla comunità per far conoscere una malattia ancora poco conosciuta e intorno alla quale persiste molta confusione» continua Mangano.

Già, ma cosa comporta avere la talassemia? E quali sono le cure attualmente disponibili? Vediamo di fare un po’ di chiarezza.

Che cos’è la talassemia?

L’emoglobina è una molecola contenuta nei globuli rossi che trasporta l’ossigeno verso tutti i tessuti, gli organi e i muscoli dell’organismo. È formata da due proteine: l’alfa globulina e la beta globulina. Quando una di queste due possiede geni “difettosi” si verifica un’anomalia, che provoca la distruzione dei globuli rossi e favorisce l’insorgere di un’anemia cronica. In presenza di queste condizioni si parla di talassemia, il cui nome nasce dall’unione delle due parole greche “thàlassa” (mare) e “haîma” (sangue), a sottolineare la sua diffusione soprattutto nelle aree affacciate sul Mar Mediterraneo.

Perché ci sono più pazienti talassemici in alcune zone d’Italia rispetto ad altre?

Se il difetto genetico colpisce l’alfa globulina allora si parla di alfa talassemia, più frequente nel Nord Africa e nel Medio Oriente. Se l’errore genetico è a carico della beta globulina si ha la beta talassemia (o anemia mediterranea), più comune in Grecia, nelle regioni costiere turche, nelle isole come Malta e Corsica e in Italia. «Nel nostro Paese sono circa 7000 i pazienti talassemici, distribuiti soprattutto tra Sicilia, Sardegna, Delta del Po, Liguria e alcune regioni del Sud» spiega Mangano. «La presenza della malattia in determinate aree geografiche trova spiegazione nel fatto che queste sono sempre state storicamente zone acquitrinose e infestate dalla malaria. Nei talassemici l’anomalia genetica ostacola la riproduzione del microorganismo parassita che causa la malaria, rendendo automaticamente i pazienti più resistenti a questa malattia infettiva. Ciò ha portato, nel corso degli anni, a favorire l’insediamento delle persone con talassemia in determinate regioni italiane» continua il dottore.

Come si trasmette?

L’unico modo per contrarre la talassemia è ereditare uno o più geni difettosi dai propri genitori. «Nel caso della beta talassemia, che come abbiamo visto è la forma più diffusa nella nostra penisola, sono solo due i geni coinvolti. Si ottengono uno dalla madre e uno dal padre» conferma Mangano. «Se uno solo dei due geni è affetto dall’errore, il nascituro svilupperà una talassemia minor, generalmente asintomatica, e dunque sarà un portatore sano della patologia. Se entrambi i geni sono difettosi allora il piccolo andrà incontro a talassemia major (o morbo di Cooley), che è la forma più grave e invalidante».

Cosa significa essere portatori sani di talassemia?

Chi è portatore sano gode di buona salute, tanto da non sapere spesso di esserne colpito. Tuttavia, l’unione con un partner anch’esso portatore sano potrebbe comportare un 25% di possibilità di trasmettere entrambi i geni difettosi e dare alla luce un figlio con talassemia major. Nel 50% dei casi, invece, il nascituro potrebbe ereditare un solo gene danneggiato ed essere, a sua volta, portatore sano della malattia. Infine, nel restante 25% dei casi il piccolo potrebbe non ereditare alcun gene difettoso ed essere, quindi, del tutto sano. Fortunatamente una coppia alla ricerca di un bambino può, al giorno d’oggi, sapere in anticipo se si è portatori sani, sottoponendosi a uno specifico esame del sangue.

Con la celocentesi si può sapere se il nascituro avrà la talassemia

Le coppie portatrici sane possono poi conoscere la salute del feto attraverso alcuni test di diagnosi prenatale. Oltre alle tecniche tradizionali di villocentesi e amniocentesi, da qualche anno si è aggiunta una terza opzione, meno invasiva ma altrettanto efficace: la celocentesi. «In seguito a uno studio condotto dal Presidio Ospedaliero “Vincenzo Cervello” di Palermo e sostenuto interamente dall’Associazione Piera Cutino Onlus, è stato messo a punto questo test che consente di prelevare per via transvaginale, tra la settima e la nona settimana, una piccola quantità di liquido celomatico per capire se il feto è affetto o meno da talassemia» spiega Mangano. Attualmente la struttura siciliana è l’unica, in Europa, a offrire questa procedura, che è erogata dal Servizio sanitario nazionale e ha un’attendibilità diagnostica del 100%.

Come si manifesta la talassemia?

La forma più grave di talassemia, quella major, si presenta con dei sintomi già intorno ai 5-6 mesi di vita. «In questi soggetti i globuli rossi sono pallidi e deformati tanto che la milza, riconoscendone l’aspetto difettoso, li distrugge precocemente. Così facendo, però, il sangue ha pochi globuli rossi e si sviluppa una forma di anemia cronica, che si traduce in spossatezzacolorito pallidoinappetenzafebbricola e ingiallimento della pelle e degli occhi» continua il rappresentante dell’Associazione. «Ogni globulo rosso distrutto, inoltre, rilascia nel sangue una piccola quantità di ferro che a lungo andare si deposita nel pancreas, nel fegato e nel cuore, adducendo danni progressivi a questi organi. La milza si ingrossa in maniera anomala e l’attività del midollo osseo causa problemi al sistema osteo-articolare».

Le trasfusioni di sangue e la terapia ferrochelante

Tuttavia, grazie all’evoluzione delle terapie, la storia della patologia ha subito una significativa trasformazione nel corso degli anni. «Fino a trent’anni fa i pazienti non superavano quasi mai i 20-25 anni di vita, trascorsi peraltro tra mille difficoltà. Oggi, invece, un bambino con talassemia ha una prognosi aperta, cioè può vivere a lungo e in buone condizioni di salute, può studiare, lavorare e mettere al mondo dei figli» conferma Mangano. Ciò che nel corso del tempo ha contribuito nettamente a migliorare la qualità della vita del talassemico e ad aumentarne la sopravvivenza sono sicuramente le trasfusioni, che vengono fatte ogni 15-20 giorni. L’obiettivo è immettere nel sangue nuovi globuli rossi, per prevenire l’anemia e tutti gli altri disturbi.

«Anche con le trasfusioni, però, si verifica il problema dell’accumulo di ferro, rilasciato nel circolo sanguigno da ogni globulo rosso eliminato. Per evitare che si depositi in diversi organi, il paziente può seguire, in associazione alle trasfusioni, una terapia con farmaci ferrochelanti. Esistono diverse molecole che sono in grado di legare il ferro in eccesso ed eliminarlo, in modo da mantenere i suoi livelli nel sangue al di sotto della soglia di tossicità» conferma l’esperto dell’Associazione Piera Cutino.

Il trapianto di midollo osseo

Esistono anche altre soluzioni terapeutiche. La prima è rappresentata dal trapianto di midollo osseo. «Questa procedura consiste nella sostituzione delle cellule staminali del talassemico con quelle prelevate dal midollo osseo di un donatore compatibile. Dopo essere state trasfuse nel paziente, le cellule staminali iniziano a produrre nuovi globuli rossi che man mano sostituiscono quelli difettosi. Purtroppo, questa terapia è condizionata non solo dalla disponibilità di un donatore compatibile ma anche da una serie di rischi, come ad esempio il rigetto delle cellule trapiantate da parte dell’organismo. Pertanto, solitamente si preferisce optare per le trasfusioni di sangue e le terapie ferrochelanti» spiega il dottor Mangano.

La terapia genica

L’altro approccio terapeutico è infine rappresentato dalla terapia genica. «Si tratta di una procedura che consiste nel prelievo di cellule staminali dal midollo del paziente. Queste poi vengono portate in laboratorio e modificate inserendo al loro interno un gene sano, che va a sostituire quello difettoso. Queste cellule poi vengono nuovamente immesse nel midollo osseo del talassemico, dove man mano attecchiscono e iniziano a produrre globuli rossi sani. Alla luce dei risultati incoraggianti riscontrati in diverse sperimentazioni, la Food and Drug Administration statunitense e l’Agenzia Europea per i medicinali hanno già approvato un protocollo di terapia genica per i malati di talassemia, che ora è al vaglio anche dell’Agenzia Italiana del Farmaco» conclude Sergio Mangano.

Fonte ok-salute.it